25.3.10

Le delusioni vivono nelle cicatrici.

Finisco sempre con l’abbassarmi, il mondo mi vuole bassa. Invece io sono nata alta, altissima, tanto che nessuno è mai riuscito a guardarmi le iridi. E allora ci provo a stare bassa, giuro che ci provo, ma poi mi chiedo perché. Che io bassa non ci voglio stare, è contro natura, mi schiacciano, mi faccio male e non vedo un cazzo. Perché una buona volta non c’è chi si alza e mi raggiunge quassù? Perché non riesco a trovarli, i simili, gli alti o più alti di me? Oh, davvero, io ci provo tutti i giorni a stare giù, me ne sto al livello più sotto, tra chi è convinto di stare al di sopra, ma non mi rimane nulla e tanto meno riesco a lasciare qualcosa di me a loro. Ma cosa dico, di un pezzo di me loro ci farebbero solo tante palline di cerbottana. Quindi, a questo punto, chi se ne frega: sono stanca di fare il marinaio, di fabbricare corde e lasciarle alle persone, mania di possessione e timore d’abbandono; sono stanca dell'unilateralità, non ne vale la pena, quelle persone non sono nemmeno ancore, non potrò farne i miei punti di riferimento, non sono salde.

Serve un’inversione di rotta.

23.3.10

Mani.

Ripetono di continuo che le bugie hanno le gambe corte. Ma mio nonno mi aveva insegnato a guardare le mani, non le gambe: chi dice le bugie muove le mani non come chi non le dice.

Nelle mani ci sta tutto, anche quando stanno ferme, sono l’immobile nella velocità, stanno lì come radici di un albero al vento. Nelle mani ci vivono i germi - sotto le unghie le loro case, tra le pieghe le loro vie - cosicché, stringendoci la destra, ci scambiamo facilmente germi, c’infettiamo un po’ dell’altro fino ad ammalarcene. Allora non sarà più solo una questione di stretta di mano, ma di tenersi per mano, stretti.

Con le mani si fa tutto. Si mettono sul fuoco, tra i capelli, sulla coscienza. Si mettono avanti, si allungano o restano vuote. Si alzano al cielo o si alzano e basta, si tengono in tasca o in pasta. Mani giunte, mani di fata, mano armata. C’è chi le batte, chi le sfrega, chi le morde e se le mangia. Chi le bacia: chi nelle mani ci tiene il cuore. Mani pulite, mani bagnate di sangue, mani legate e bucate. Si vive anche fuori mano, si può andare contromano o agire sottomano. Ma poi? A me le mani piacciono perché posso cercare i profumi sotto le coperte e costruirci le storie.

A volte però non sono che imitazioni di noi stessi, ci rispecchiano d’obliquo, perché c’è un’intenzione in più, un gesto pensato o troppo pensato. Le mani macchina di un mondo d’inganno, le mani che copiano, che non fanno quello che siamo. Bugiarde mani, mani di seconda mano.
Ma poi penso che siano di più le mani buone. Le mani sporche di bambini che mangiano coni gelato, quelle sì che sono buone. Le mani delle mamma che prepara la torta, della nonna che prepara la sfoglia. Difatti è questo il loro modo di interagire: le mani interagiscono disegnando sorrisi e pianti, un modo fermo e immobile in se stesso, fermo perché loro e di tutti - usando gli stessi pennarelli - immobile perché comune e unitario - usando gli stessi fogli: ci rimangono solo le mani. Solo le mani sono verità.

22.3.10

Nel nostro angolo

Ho voglia di prepararTI tante cose. Lo sforzo è naturale, il muscolo è del cuore. Ho voglia di prepararTI tante cose, mettendo a disposizione tutte le energie, per creare il nostro angolo di paradiso. Sarà arduo - nemmeno il mondo è stato costruito in un giorno - ma non importa: sarà proprio il nostro angolo di paradiso a ridonarci l‘ebbrezza di volare, la possibilità d’amare.

Nel nostro angolo di paradiso mandiamo al diavolo le paure, apriamo i petti alla realtà, la prendiamo di petto e la guardiamo mutare per quei nostri piccoli gesti d’intimità messi a nudo. Per quelle tante cose che ho voglia di prepararTI.
Nel nostro angolo di paradiso siamo ballerini intenti a sistemare mondi, tu a sistemare il mio, io a cercare di capire come posso ringraziare la cometa: è passata sul mio cielo senza chiedere nulla, ma voglio darle tutta me stessa, lo stesso.
Il nostro angolo di paradiso non è affollato, non c’è tanta gente, gente che si riduce a essere una sola persona, angelo che mi sorride per le tante cose che ho voglia di preparargli e per le quali, altri, non mi avrebbero degnato se non di una smorfia. Le comete sorridono e io non lo sapevo.

Ho voglia di prepararTI tante cose, di leggerTI sogni negli occhi. Ho voglia di fare, di fare abbastanza a render l’idea dell’immensità che esistendo renderai mia, in quell‘angolo di paradiso spogliato di spigoli e confini. Perché quando si è innamorati, ci si supera. Io lo voglio, voglio finalmente che ogni attimo faccia sì che la vita si dilunghi, che i giorni valgano anni; come se scoprendo l'amore potessi ritrovare un tempo senza tempo e come se nello scoprire il tempo scoprissi il valore di una vita che varrà la pena di essere vissuta. Nel nostro angolo di paradiso non si muore mai.

16.3.10

Il tuo ritaglio di tempo.

Ti mordi l’angolo del labbro anche mentre cammini, perché ci pensi, ci pensi a questo tempo strappato. Ti ripeti che se hai voluto strappare tempo per te, ora è giusto che sia tu a doverlo tenere. Sfruttare.
Smettila di pensare che strappare voglia dire squarciare, che centri qualcosa con il togliere o il perdere, non hai perso tempo, lo hai solo ritagliato. È così sdrucito, sfilacciato, che puoi unirlo come vuoi; dove occorre una toppa, tu hai il tuo tempo da intarsiare. È il tuo ritaglio di tempo e non sai fino a quando potrai permettertelo. Puoi farlo bello, personalizzarlo, farlo per te. Ci sono i bottoni, i merletti, le passamanerie, e poi ci sono le maglie, gli orli, i lembi: li prendi, li stiracchi, se hai bisogno di più tempo, basta che tendi e distendi più che riesci. Allungare ed accorciare è solo un gioco di dita, o di vita, come se avessi tu in mano i fili di ciò che sarai, come un sarto di esperienze intento a cucire la propria, imbastendo su di sé l’abito su misura, quello che cade a pennello, quello in cui ci cresci dentro, ma che non sarà mai troppo corto.

9.3.10

Anche Leopardi scriveva le operette morali, quindi posso farlo anch'io. E uso tutti gli anche che mi pare.

Tutti, almeno una volta, ci siamo chiesti in che girone Dante ci avrebbe incastrato.

Non ho ancora capito se soffro più di uno o dell’altro,
di quei 7,
se più di gola o d’accidia o di lussuria.
Però incastrare il mio sedere non sarà così difficile.
S’incastra ovunque, e non centra nulla con l’essere fortunati.
Perché non sono nemmeno particolarmente fortunata.
Per me la Fortuna è una cosa a parte
Penso sia fatta di coincidenze
E io alle coincidenze faccio credere di non crederci.
Vabbè, Dante, vedi un po’ tu
dove vuoi mettermi,
semmai pensaci un po’ su
magari prima
prima che il mio sedere faccia da girone per conto suo.

Mi sa che sarò tra chi ozia. Pecco maggiormente d’accidia forse, e forse è l’accidia che mi porta ad aprire la gola per noia, comprendendo così anche la lussuria, anche se dipende da quando e come apro la gola. Se lo faccio bene o se mastico. Non lo so, vedi tu. Che io non sembro normale.

Oh Dante, guai a te se mi metti in Purgatorio che i miei non hanno soldi per pagare per farmi andare in Paradiso. Poi in Purgatorio cazzo faccio? Aspetto. E’ tutta la vita che aspetto non so cosa, quindi evita.
Oppure mi giro i pollici, io che morirò di tunnel carpale, come se di tunnel carpale si morisse. Vero.
Devi decidere bene Dante, non segua la mediocritas, che lei sa meglio di me non essere proprio sinonimo di mediocrità, ma scelga per me l’Inferno o l’Eden. Vorrei anche vedere in faccia quei due nudisti di Adamo ed Eva.

Sì però c’è un altro problema. Perché se mi metti in Paradiso il mio Paradiso come lo fai? Devi anche pensare a quello Dante, non ti posso dire tutto io. In Paradiso poi devi farci vivere il mio Beatrice, che in teoria devi trovare il modo di farmi conoscere anche qui sulla Terra. Cazzo Dante, ma ti stai impegnando? No perché del mio Beatrice non c’è traccia, c’è il commesso dei vini, quello figo, però non sono mica sicura sia lui il Beatrice mio prescelto. Ieri ho avuto la terza visione, e oggi? Oggi ho pensato che la visione di ieri in realtà fosse solo un’aurea di luce. Anche se non ti dico ‘ti prego’, sta notte Dante mi vieni in sogno e mi spieghi cosa devo fare?

1.3.10

Quindi ho deciso che la limitatezza non è poi così distante dalla stupidità.

Se mi hanno dato della depressa, significa che non sono stati all’altezza di decodificarmi. È classico tra chi indossa paraocchi, convinto di essere molto vicino al centro del mondo, poiché non vede nessun orizzonte oltre il suo naso, io che di orizzonti ne vorrei vedere tutte le sere, per dire buonanotte al sole e buongiorno alla luna. E non è detto che chi ha il naso più lungo, possa vedere o vedermi meglio, nel didentro dico.

Quindi ho deciso che la limitatezza non è poi così distante dalla stupidità. Quindi quando la stupidità mi sfiora, io mi scanso. Lascio passare. Ma quando ripararsi è inevitabile, quando la stupidità travolge con la forza di un vento e s’incolla alla faccia, non c’è più protezione, le grida escono mute dal collo. Sei imbrigliata in un tempo che sembra dilagare, che sembra non avere vie di fuga; non ci sono nemmeno le uscite d’emergenza, non ne fanno più.
Quanto ci vuole per liberarsi?
La fronte s’inarca. Con lei, l’angolo della mia bocca. Mi gonfio di cattiveria e di sputi da distribuire: funzioneranno come un estintore, tra il suo gas mi dileguerò; senza dimenticare, prima di cena, di lavarmi con la brusca fino all’ultima piega delle mani. La stupidità, che schifo.




















(è vivamente consigliato munirsi di mascherina, o non vorrete mica essere così stupidi da farvi contagiare?)