30.7.10

C'è chi usa la falce e nemmeno se ne accorge.

Ti fai in quattro per coltivare un pezzo di terreno per ognuno, uno stracazzo di pezzo di terreno. Ci metti i tulipani e i girasoli grandi, li innaffi la mattina, li sistemi la sera. Ci sono i vasi, i gattini, le coccinelle. Ogni pezzo di terreno è diverso a seconda di chi decido debba starci, i più rigogliosi hanno il loro perché. Ma sarà che il giardinaggio non mi viene bene, sarà che voi non apprezzate un benché minimo profumo di primavera e percepite solo l‘odore del concime, sarà che devo smetterla; che ci sono i giardinieri apposta per delegare un lavoro a cui posso finirla di dedicare invano tempo e cuore. Perché io cerco di regalarvi pezzi di terreno perfetti, unici, senza spine né api, mi preoccupo di renderli fertili per farci crescere qualcosa di speciale, e voi? Voi, le mie aiuole, me le calpestate tutte e ci fate sopra la pipì . Ah, valle a capire le persone. Valle a capire perché cambiano idea assieme al vento, perché usano la falce in modo netto, perchè preferiscono che attorno a me ci siano fulmini e saette a scorticare i miei orticelli. Preferiscono la pioggia, quella acida e che corrode ogni cosa, quei temporali bui, che non conoscono il bianco della chiarezza e della lealtà, che fanno solo paura e scombussolano le mie neonate certezze. Non c’è tettoia che tenga, il mio lavoro di mesi viene distrutto, rami ovunque pronti a graffiare, boccioli che non vedranno mai il sole. Mi chiedo se varrà la pena ricominciare da capo, con dei nuovi giardini, o se mi farò bastare i miei, quelli di sempre, quelli dove ci correvo da piccola, dove se inciampavo era tanto per giocare, nessuno stava male e l'unica gara era quella delle altalene, ci potevi raggiungere il paradiso.

3.7.10

Seduti lì

Negli occhi azzurri tira spesso un’aria gelida. Io ho sempre preferito i tuoi, sono caffè. Non m’importa di vederci il cielo, il mare, loro sono caffè, denso, buono, più buono se bruciacchiato. Perché i tuoi occhi hanno l’aroma di casa, e io a casa bevo ancora dalla moca consumata. I tuoi occhi sono caffè, ma sono anche nocciola; sono caffè, nocciola, cioccolata, cacao, pane tostato, mandorla e castagna: ci sono le spezie. Allora chissà le tue lacrime che sapore avranno.

Io spesso lo so, sono fortunata, so da dove vengono, so dove vanno, lo so perché ce ne stiamo insieme a farle seccare, accarezzati dal sole basso della sera, ninnati da quella nostra culla solo nostra. Stiamo bene io e te. Seduti lì, ad ascoltarci i dubbi, a fare a gara sui pensieri da dire, lasciando il tempo fuggire altrove. Ah, se quella panchina potesse parlare, invece, se ne sta silenziosa, paziente, ti aspetta con me quando fai tardi, aspetta con te i miei ritorni. Lei c’è sempre. E se davvero ci sono cose nella vita che non cambieranno mai, io voglio che questa sia una di quelle; che sulla stessa panchina, anche il giorno nato in bianco nero continui ad accendersi di vero. Perché io e te non abbiamo bugie, o per lo meno, ne abbiamo poche, pochissime, di quelle senza gambe, che se le guardi da dietro e gli tiri la coda, si confessano da sole, prima ancora di iniziare le parole.

Mi piace pensare di conoscerti a memoria, come se fossi in grado di recitare il finale delle poesie che tieni in testa. Sei prevedibile, ma solo per me. Non scontato, ma prevedibile, è una bella cosa, rara, e me ne vanto. Mi vanto di padroneggiare tutte le tue vie di fuga; del resto, una tua evasione, rimango proprio io. Sono il tuo fuori campo, dove i sogni se ne possono andare veloci, in quinta, liberi a rincorrere i miei. Non ci sono freni, paure, né strade diritte, il tuo fuori campo è così profondo, illimitato, che quando ci sei dentro - tu che più di altri sai come entrarci - la possibilità più grande che hai è quella di poter sbagliare all’infinito. Sbaglia, che ci sono io qui a correggerti.

Sei piccolo, sei immaturo, sei testardo. Non sei come me, non siamo uguali, nemmeno opposti. Non vale nessuna legge, quella è fisica. Sei immaturo e non dire di no, che è una balla, perché lo sei. Ma è proprio il tuo esserlo che mi fa salire il bisogno di tenerti stretto, in pugno o in tasca, di tirarti fuori quando mi va, di alzare l’ala destra perché è meglio così, è meglio se ti proteggo, perché negli anni ho capito che, se inciampi, fai poi presto a scivolarmi giù nel burrone. E il burrone, lo sappiamo, non è come me, non è fatto di burro.
Invece io, che di burro ho quasi tutto, posso spalmarmi sul pane tostato dei tuoi occhi. Ho l’ala destra per farti volare, ho la borsa per tenerti il portafoglio e le chiavi, e ho anche i capelli che non s’addormentano se, a mancare, è la buonanotte delle tue sigarette. Ho tutto questo, sì, ce l’ho, ma sono comunque fatta di burro. Mi sciolgo più facilmente; nel giorno dei saluti, l'ultimo, mi squalglio. Non puoi capire quanto sei maledettamente bello mentre ti guardo andare via.