29.4.13

Alla faccia di

Alla faccia di tutti coloro che il lamento sulla scelta universitaria è una prassi necessaria e durevole. Che la pagliuzza nell’occhio dell’altro la trovano anche quando non c’è. Visionari, beati loro. Eppure basterebbe poco: come impiegare la pinzetta leva ciglia e con quella levarci la pagliuzza, rendersi se non propositivi, almeno utili. Perché che utilità può avere un lamento? Foste le sirene di Ulisse.

Quando sono arrivata ero piccola così. Ingenua, ingenuamente spavalda. Di quella spavalderia adrenalinica da non-sono-più-una-liceale che ti fa credere di aver capito come funziona il mondo e quindi di riuscirci a correre sopra senza cadere. Poi, al primo esame, cadi. Come una pera, di cui hai persino la stessa silhouette. Poi, al secondo esame, rimedi. Ma la colpa non è mai tua, è del professore, si sa. Finché arrivi al terzo anno che non hai nemmeno fatto in tempo a goderti gli altri due, perché ti sei persa nel lamento, preferendo gli aperitivi, e allora qualche rimpianto te lo porti dentro.

Quando sono uscita ero un po' più grande di così. Ora sono in grado di andare oltre alla solita ridondante risposta: “la mia facoltà è tutta teorica, non c'è nulla di pratico”. Se volevi la pratica, cara mia, non capitavi qui. Se invece volevi imparare a dare una forma, un giudizio, un'analisi a quel contenitore poliedrico che è la moda come me l'hanno spiegata, allora sì, dovevi capitare qui.
Potrei usare una serie di metafore. La mia triennale è come un palazzo a più piani, con tante e tantissime finestrelle, da ognuna di queste la vista cambia, ma se le metti insieme il paesaggio è così bello che ti toglie il respiro. La mia triennale è una tavolozza di colori a tempera, sta a te trovare le combinazioni di nuance che si abbinano di più al tuo colorito. La mia triennale è un ricettario dai diversi e svariati ingredienti, sta a te capire quale sia la tua specialità, testando, provando e riprovando di nuovo. Vale la frase d'ogni mamma: se non assaggi, come fai già a sapere che non ti piace? La mia triennale è un puzzle interattivo o probabilmente 3D, dove ogni pezzo rimane in piedi da solo e al contempo si incastra perfetto ad un altro. La mia triennale è una cassettiera: sta a te scegliere in quale cassetto conservare i tuoi sogni.

Alla faccia di tutti coloro che continuano a lamentarsi persino in seguito al conseguimento della laurea. Io non ci credo che voi, il paesaggio, dopo tre anni, non l'abbiate nemmeno intravisto. Non ci credo che non abbiate assaggiato abbastanza, anche se solo di tutto un po'. Tantomeno che non riusciate a mettere insieme i pezzi di un puzzle 3D - sono addirittura più grandi di quelli classici; perché se non ci riuscite, questa volta, non è colpa dei professori, né dell'organizzazione universitaria e delle sue pagliuzze, ma in primis è semplicemente e soprattutto vostra. Che non avete sfruttato a dovere le opportunità offerte, le attività extradidattiche, la biblioteca. Che utilizzate internet solo per invidiare le Chanel della più bionda delle italiane, senza immergervi in altre vie di ricerca. Che siete insipide. Che siete state sedute nelle retrovie degli ultimi banchi. Che non avete mai alzato una mano durante una conferenza. Che criticate senza proporre. Che "perché studiamo questa roba?".

Io sono arrivata con una biro e sono uscita con una stilografica. Non perché non mi sia mai lamentata, anzi. Forse neppure grazie all'università, seppur essa mi facesse da culla, da sfondo paesaggistico e da cassettiera. Ma perché mi sono fatta i compiti a casa. Nessuno vi consegnerà tra le mani un lavoro bello e pronto. Come nessuno vi confezionerà mai un futuro su misura. Pertanto, un consiglio: le finestrelle non tenetele chiuse e sulla tavolozza non fate seccare i colori. Ad ogni vostro lamento, un sogno muore.

16.4.13

Biscotto

Diamoci appuntamento. Spostiamo il balcone della casa vecchia, la tua, dove ci abbiamo lasciato le nostre prime briciole, come Pollicini che non sarebbero mai tornati indietro. Quando ci baciavamo ne lasciamo cadere tantissime e più ne vedevamo cadere più ci baciavamo. Un po’ facevamo apposta, che tanto su quel pavimento non si vedeva nulla. Difatti, tutti erano convinti che ci passassi lo straccetto ogni giorno talmente il tuo alone umano sembrava puro. Tutto ciò che ti contornava scintillava con te, come una specie di Re Mida che dove tocca disinfetta. Perché sai sempre di pulito quando uno ti annusa, perché sai di pulito anche solo se ti guardo. Chissà, magari qualcuno con le nostre briciole ci ha impastato un biscotto. E magari ora è proprio alla ricerca di noi due, spinto dal desiderio di conoscere quegli ingredienti speciali: non aveva mai assaggiato cosa così buona.

Spostiamo il tuo balcone e riandiamoci a prendere le mie scale: decidi tu come metterli, se uno accanto all’altro o frontali o a rovescio. A me, davvero, importa solamente che siano vicini; per poterci salutare ogni mattina, mentre io mi spengo la sigaretta nel caffè e tu bevi il fondo del succo che ti è rimasto in frigo dalla settimana scorsa. Mi raccomando, non trascurare i punti cardinali, dove nasce e muore il sole, in modo che la sua luce sia la benvenuta a qualsiasi ora. Che a mezzogiorno illumini il solito tavolino sul tuo balcone. Che rifletta nelle birre fresche delle sere d’Estate, sulle mie scale. Poi, se vuoi, con una certa regolarità, possiamo scambiarci di posto o tu vieni da me, visto che sono sempre io quella che si muove. Anzi no. Vengo io, verrò sempre io, non m’importa nemmeno questo. Perché mi piace passarti a prendere che poi alla fine non usciamo più anche se dovevamo uscire perché ci siamo persi a parlare di briciole.

Tu decidi come, ma insieme decidiamo dove. Sarà un dove diverso ogni volta che avremo voglia di cambiare prospettiva. Il tuo balcone e le mie scale saranno come due roulotte nella roulette delle nostre vite. Saranno come case galleggianti quando ci sposteremo per mari e fiumi, mentre in riva al lago si trasformeranno in palafitte. Saranno come palloni aerostatici quando raggiungeremo il circolo polare artico, con le nostre briciole appiccicate addosso a riscaldarci meglio. Il tuo profumo congelato in un vasetto, nel tuo frigo, di fianco al succo.

In realtà non sono del tutto sicura che saremo noi a spostarci, in sella ai nostri mezzi d’edificio, o se saranno le città a farci la corte per averci. Sotto il tuo balcone ad acclamarci. Forse, dalla cima delle mie scale, riusciremo persino a spostare con un dito la geografia del mondo intero. A spostare le isole creando nuovi arcipelaghi, come se stessimo usando uno di quegli schermi interattivi che trovi nelle sale dei musei. Forse riusciremo a dar vita a un pianeta su misura, in moto perpetuo, in moto non tanto su se stesso quanto dentro di esso. Un pianeta con gli angoli nascosti, le cacce al tesoro, l’accesso a internet illimitato, gli strapiombi, che se ti butti giù non ti fai male perché di sotto c’è il tuo materasso dell’Ikea: funziona da nuvola d’oro. Potremo balzare da un capo all’altro che tanto un capo non esisterà mai. Le uniche estremità, nel nostro pianeta in movimento, saranno quelle del telefono senza fili che useremo per chiamarci dall’ufficio. Non ti preoccupare, non ci perderemo, anche se tu salterai a destra e io a sinistra, perché la forza magnetica ci ricondurrà nel punto più esposto alla luce del Sole. Sul tuo balcone a mezzogiorno, sulle mie scale nelle sere d’Estate.

Diamoci appuntamento, ora: via sottomarina, casa corallo, numero squalo. Non puoi sbagliarti, partiamo subito, questa notte. E spicciati, che la Luna verrà a bussarti alla porta: è ancora alla ricerca degli ingredienti speciali del nostro biscotto.