22.12.14

Silenzio blu

Mentre si dice un mare di parole, ci sono io che ti ho dato l'oceano e le sue profondità. Che ci annegavo dentro ogni cosa, inzuppavo giocosa: paure, singhiozzi, lacrime saline, forse mal di gola, otiti, tuffi di ricordi sordi. Risate, pure. Ma tutto ciò che ci annegavo, diversificato in formati personalizzabili - tali messaggi in bottiglia, onde vibranti e tesori in scatola -, ormai sicura dell'affidabile silenzio blu, ormai sicura di noi, al timone di attenzioni subacquee, di noi nella bolla e dei nostri sinonimi salsedine e schiuma; tutto ciò che ci annegavo è esattamente lo stesso che oggi rinnego. Eppure, dopo un anno, ce l'ho fatta: ho prosciugato quella discarica di oceano. E le mie vecchie parole ora non sono che risplendenti granelli di sabbia, fertili per nuovi castelli, altri biondissimi principi.

12.12.14

Arredamento d'interni

Tenevo le sue cose dentro di me, al loro posto, ordinate in un decalogo di sentimenti che avevamo scritto insieme. Tenevo le sue cose nel buio mio, spiragli di luce regolabili dagli umori, temperatura costante ma febbrile: se non sotto pressione, semplicemente soppresse, a togliere aria. Così ce ne sarebbero state di più, di cose, dentro. Le etichettavo una ad una, componendo un’alfabetica rubrica d'emergenza, via di fuga verso l’interno, al riparo di mille coperte sotto un tetto e sopra un letto entrambi condivisi. Il decalogo di sentimenti, però, l’avevamo scritto insieme. Non è vero. L’avevamo scritto insieme anche se l’avevo scritto solo io, ché glielo rileggevo per ore, per le correzioni, eccessi di virgole. Solo io, ché ero più brava a non tralasciare, ingenua generatrice di complessità, più brava ad esagerare coi sapori, inconsapevole spargitrice di zuccheri, più brava con le parole schioccanti di baci, coi neologismi amorosi, coi frammenti di autoreferenziale unicità di coppia. In questo modo, grazie al decalogo, credevo non potessimo mai smarrire niente di noi. Etichette in ordine alfabetico. Ingenua, inconsapevole, consapevolissima. La compilazione implicava comunque uno sforzo di sudore, la mia doccia a muro per un bagno d'odori: scomponevo in un quadro elementi inscindibili, impalpabili, forse solamente tracciabili nelle traiettorie fisiche, nella forza centrifuga, nel tempo di durata di un abbraccio. Scomponevo e mettevo le sue cose dentro. Al buio. Mi arredavo con la sua vita, spolveravo il necessario, lucidavo la sua argenteria – finta. Ero la portatrice del suo design, tanto che persino le linee del suo corpo erano state misurate minuziosamente, sminuzzate in tutti gli angoli in cui io amavo incastrarci la bocca. Ed etichettate. I suoi occhi i miei occhiali, la sua pelle la mia carta da parati, la sua merda il mio pasto. I miei antri del cuore coi divani. Il mio ombelico, piccola tavola rotonda per due. Seno, cuscino. Ventre, finestra. Genitali, camera a ore. Mi rendevo casa, provando a studiare l’architettura del nostro rapporto attraverso le rughe delle sue mani, ciò che raccontavano i nostri palmi vicini come planimetrie d'arti. Poi è arrivato. L'imprevedibile terremoto affettivo, quello prodotto dagli agenti esterni, vicini di casa insospettabili, a pochi passi più in là del mio giardino. Sono entrati dentro a rubarmi le sue cose, così rapidi e silenziosi che nel mio buio non sono riuscita ad acciuffare. Io non ero pronta, non avevo architettato nessuna protezione antisismica. E si rivelò impossibile denunciare il furto: il decalogo dei sentimenti, laddove avevo annotato ogni soprammobile interiore, ogni nome, valore, se l'erano portati via. Io casa vuota.

29.10.14

La moda è una cosa seria. E frivola

La moda fa riferimento a un'esperienza intima e personale. Nessun altro oggetto è tanto vicino alla nostra pelle e alle nostre attività quotidiane quanto lo sono l’abbigliamento e gli accessori. Nella sua materialità, nella sua dimensione visuale e nella sensazione che produce, l’abbigliamento possiede significati propri che danno vita a un arazzo di segni che impongono il proprio linguaggio al corpo di chi lo indossa, sia che questo avvenga per scelta o in maniera inconsapevole. La complessità intrinseca della moda tocca quindi in prima istanza e primariamente il sé. Se la moda, come la definisce Gianna Manzini (“La donna”, 1935), è una cosa seria, è anche leggerezza e non è estranea alla vanità, alla seduzione e al desiderio di apparire al meglio.

M. Lupano e A. Vaccari (a cura di), Una giornata moderna. Moda e stili nell’Italia Fascista, Damiani, Bologna 2009, p. 132.

Finestra

Vorrei avere il tempo di sbirciare nelle finestre degli altri, ma non ce l'ho. Ho solo le finestre degli altri. E spero che almeno loro, gli altri, che almeno loro, il tempo, ce l'abbiano per sbirciare un po' nella mia: finestra.

27.10.14

Incostanza della moda

Da "La Trilogia della Villeggiatura" di Carlo Goldoni, 1761 / IERI COME OGGI

Giacinta: Signor padre, mi favorisca altri sei zecchini.
Filippo: E per che fare, figliola mia?
G: Per pagare la sopravveste di seta da portar per viaggio per ripararsi dalla polvere.
F: Poh! Non si finisce mai! Ed è necessario che sia di seta? 
G: Necessarissimo. Sarebbe una villania portar la polverina di tela; vuol esser di seta, e col cappuccetto. 
F: Ed a che fine il cappuccetto? 
G: Per la notte, per l'aria, per l'umido, per quando è freddo. 
F: Ma non si usano i cappellini? I cappellini non riparano meglio? 
Brigida: Oh, oh, i cappellini! 
G: Che ne dici eh, Brigida? I cappellini! 
B: Mi fa morir di ridere il signor padrone. I cappellini! 
F: Che! Ho detto qualche sproposito? Qualche bestialità? A che far tante meraviglie? Non si usavano forse i cappellini? 
G: Goffaggini, goffaggini. 
B: Anticaglie, anticaglie. 
F: Ma quando sarà, che non si usano più i cappellini? 
G: Oh! Due anni almeno.
F: E in due anni son diventati anticaglie? 
B: Ma non sapete, signore, che quello che si usa un anno, non si usa l'altro? 
F: Sì, è vero. Ho veduto in pochissimi anni cuffie, cuffiotti, cappellini, cappelloni: ora corrono i cappuccetti; mi aspetto che l'anno venturo vi mettiate in testa una scarpa. (Elsa Schiaparelli realizzerà il cappello-scarpa in collaborazione con Salvador Dalì nel 1936)
G: Ma voi che vi meravigliate tanto delle donne, ditemi un poco, gli uomini non fanno peggio di noi? Una volta, quando viaggiavano per la campagna, si mettevano il loro buon giubbone di panno, le calze di lana, le scarpe grosse: ora portano anch'eglino la polverina, gli scarpini colle fibbie di brilli, e montano in ch'esso colle calzone di seta. 
B: E non portano più il bastone; e portano l'ombrellino per ripararsi dal sole. 
G: E poi dicono di noi! 
B: Se fanno peggio di noi!




Il dialogo è citato in Commentario Dizionario della Moda Italiana (1936), edito dall'Ente Nazionale della Moda e compilato da Cesare Meano, il quale, a sostegno delle voci di moda analizzate, inserisce noti o meno noti commenti letterari. Per la voce "Incostanza della moda" riporta un brano tratto dalla prima commedia di La Trilogia della Villeggiatura (Goldoni, 1761), al fine di riflettere sulla fugacità delle fogge. All'interno del Dizionario, sotto la medesima voce, Meano farà seguire rime estratte da Il Dialogo della Moda e della Morte (Leopardi, 1824).

26.10.14

Chirurgia estetica 1944

[...] Il regista Margadonna allontanò, un giorno, un'aspirante diva, spiegandole che il suo naso era veramente troppo brutto, ma fu chiamato, una settimana dopo, nella casa della signora che, bendatissima, ma felice, annunciò: "Mi sono fatta aprire il naso come un carciofo, spero che mi darete una parte". Ebbe la parte, ed oggi è celebre. Una rivista femminile, che alimenta e consiglia la clientela di un chirurgo romano, scriveva testualmente: "Se verrai presto da noi, cara Fiorin di pesco, provvederò a renderti la serenità perduta, e la vita tornerà gioiosa a sorriderti, mentre tuo marito ti restituirà il suo cuore. Dunque il mio chirurgo si prepara a partire presto per la sua bella villa di montagna, ma si fermerà volentieri per te qualche giorno: il primo luglio potremo operarti il naso, il 2 aboliremo la pancia, operazione semplicissima, un taglietto, l'asportazione dell'adipe, pochi punti, ed il 3 passeremo alle borse palpebrali, quasi uno scherzo. Il 4 vorrei farti riposare, e ci limiteremo, quindi, ad una semplice permanente (non importa, se come mi dici, hai i capelli decolorati e scarsi, il mio parrucchiere di fiducia è bravissimo). Il 5 senz'altro penseremo ai seni afflosciati, anche qui rapido taglietto, rapida sutura, il 6 passeremo al doppiomento, e forse alla diminuzione dei polpacci, il 7 alla depilazione dei peluzzi che ti affliggono tanto, e, se tuo marito torna il 12 dal suo viaggio di affari, potrai andargli incontro bellissima. Salutoni".


Irene Brin, Usi & Costumi. 1920 - 1940, Roma : Donatello De Luigi, 1944.

16.10.14

Filare

Ero così fissata coi fili, soprattutto con quelli che ci tenevano legati l'un l'altro da lontano così come dal tetto alto del cielo, tali imbragature salva-amore. Inoltre avevamo, come tutti, i fili più o meno immaginari del telefono, i fili delle marionette d'emozioni, i fili nervosi e venosi fino ai più comuni fili di lana, ricordi di nonne, morbidezze di gomitoli rossi. Io Arianna, tu Teseo, ci filavamo l'un l'altro. Ma oggi, proprio quei fili, hanno messo su le spine. E non c'è vita che tenga allo strangolamento della gelosia.

Tinder pt. 1

Niente, ci sposeremo io e te. Saremo felici, ci inventeremo finte ma avventurose storie, bugie bianche, per tutti i pranzi coi parenti che verranno; romantiche, straordinarie, pirotecniche, cinematografiche storie, bugie bianche, sempre diverse, sempre travolgenti, pur di renderci invidiabili per la casualità del nostro primo incontro e per la naturalezza del nostro primo bacio; bugie bianche, pur di negare al mondo e ai noi stessi che ci siamo conosciuti dopo un match su Tinder, giusto appena 3 giorni fa.

14.7.14

Muro

La metafora del muro, del muro innalzato tra noi, ha preso corpo e forma effettiva. Il muro è tra noi ed è, allo stesso modo, tra le nostre camere. C'è una distanza ravvicinata dietro cui io piango, la notte. E ce n'è un'altra, ancora più dolorosa, che separa i tuoi pensieri da me, tutta me. Mi passano accanto. Si avvicinano al mio naso, ma non mi baciano più. Mi passano accanto, a passi pesanti muovono l'aria e quell'aria mi sfiora, e puzza, e mi soffia nelle orecchie, le stesse che qualcuno ha voluto incollarmi qui, sopra le guance, perché ascoltassero solo i tuoi, di pensieri. Ma cosa me ne faccio di due orecchie per sentire se non posso più ascoltarli? Se sento solo fischi, echi lontani di ricordi? I tuoi pensieri mi passano accanto, a passi pesanti muovono l'aria e quell'aria mi sfiora. Non mi bacia, mi solca le rughe, mi gela la fronte. Come un lago ghiacciato il mio involucro crepa sotto il peso del tuo silenzio. Silenzio che pattina, mi solca le rughe, mi gela la fronte. Ho freddo e c'è il sangue. Vorrei tagliarmi via le orecchie, una volta e per sempre. Ficcartele sotto il cuscino a rubarti i sospiri, i respiri, le parole calde, le telefonate, un abbraccio, a saccheggiarti i pensieri per riportarli da me, tutta me.

29.4.14

Feat Sarah Kane

E voglio giocare a nascondino e darti i miei vestiti vecchi e dirti che mi piacciono i tuoi pantaloni e sedermi sul letto mentre ti cambi e darti i miei occhiali e rubarti il giornale e fare finta di imbronciarmi e andare fuori a cena e non farci caso se mangi il dolce dal mio piatto e incontrarti al museo e battere a macchina le tue lettere e custodire le mie bambole e ridere dei nostri capelli e passarti libri che non leggi e guardare film bellissimi e guardare film orribili e lamentarmi di chiunque e fotografarti mentre dormi e svegliarti per portarti succo brioche e cioccolato e andare alla finestra e mangiare pasta a mezzanotte e farmi rubare tutte le sigarette e non trovare mai un fiammifero e dirti che ho visto al cinema l'ultima volta e accompagnarti a un colloquio e ridere delle tue paranoie e desiderarti di mattina ma lasciarti dormire ancora un po’ e baciarti la schiena e carezzarti la pelle e dirti quanto amo i tuoi capelli i tuoi occhi le tue labbra il tuo collo i tuoi seni il tuo culo il tuo...



FEBBRE http://goo.gl/dyTjWm

11.2.14

Partenza #2

Quando tu partirai, lo farò anch'io, in modo da spartire i nostri tempi di scoperta. E di esilio lontano. Quando tu partirai e io partirò, sarà, in un giorno imprecisato, un nuovo anno. Sarà fine ed inizio, freddo e caldo, testa e piedi. Saranno tutte le coppie di opposti pitagorici riunirsi sotto lo stesso segno: il tredicesimo. Vivremo distanti, ma di quella distanza misurata col rigore dei nostri mignoli, da un capo all'altro del mondo. Esattamente distanti. Perché con le cose esatte, somme di milioni di mignoli, non ci si può sbagliare mai. Vivremo così: all'incrocio tra l'ultimo dei paralleli e il primo dei meridiani tu, tra il primo dei paralleli e l'ultimo dei meridiani io, nell'oceano e nel cielo, isole e foreste a darci ristoro. Vivremo in due punti qualsiasi, simmetrici e fuori bussola, da un capo all'altro del mondo, per regger di quel mondo le fila, noi due burattinai. Coi mignoli ci si teletrasporta. 

25.1.14

Partenza #1

Quando tu partirai, io piangerò molto. Ma non succederà come nei film, dove lui torna indietro, non parte più e poi si sposano. Quando tu partirai, io piangerò il mio solito pianto capriccioso, singhiozzando parole a caso. Magari questa volta sarà più acuto, ma di certo non meno sospirato: la gelosia che sbuffo, gli egoismi che soffio lontano. Oh, i miei pianti capricciosi, tragicomiche commedie. Te ne dimenticherai.