22.7.13

Patina

Oggi ho pensato che l'ora del tramonto sia esattamente come un abbraccio globale. Arriva in silenzio, con delicatezza di passo, appoggiando il suo dolce peso sul mondo. Il peso di una patina sottile, buona, di una bellezza che in musica diverrebbe un tintinnio. A volte gioioso, altre nostalgico, ma mai stridente o insopportabile. E con la patina, tutto ciò che prima si scorgeva, lo si potrà scorgere meglio. Adesso, sotto il tramonto. Perché persino la luce sembra rallentare, diminuire la sua velocità, per fermarsi ad accarezzare le montagne, gli orizzonti, i tetti delle case, immobilizzandoli in un momento felice, a tratti eterno. Così, mentre guardo le gradazioni del cielo, l'arancione, il rosa, il rosso, mi convinco che - ovunque tu sia, su quelle rive che un mare intero divide dalle mie - siano le stesse che riflettono sul tuo volto, ricordandoti ancor più bello di come ti ho lasciato. Mi convinco che, nell'abbraccio globale, io possa ritrovarti. Che il tramonto ci stringa tutti, tutti quanti, talmente forte e talmente stretto da riscoprirmi all'improvviso accanto a te, appiccicata a te, mio compagno di crepuscoli e scogliere. Ti bacerò fino a quando il Sole se ne andrà, ma poi arriverà la Luna e allora continuerò.

10.7.13

Biglietto

Voglio grattare via il tuo nome, grattare così forte da scavarci una conca, una conca capiente e accomodante; una buca nel mezzo di un terreno riscopertosi vivo, da riempire di cuscini, candele, fragole e cioccolata. Ci allestirò un picnic privato, mi sdraierò su una tovaglia vichy, berrò acqua, poi vino, Ouzo, whisky. Non sarò da sola, ma stretta tra le braccia eccitate del prossimo venuto. Sarò io a chiederglielo: «Stringimi, stringimi, meraviglioso amore mio». Ma non gli dirò la verità, non gli dirò che in quelle braccia vorrei perdermi, sparirci soffocata. Non gli dirò che siamo seduti su quella conca che è una fossa, la tua, che morirci dentro sarà come raggiungerti nel luogo lontano in cui io stessa ti ho mandato, sperando che qualcuno ti potesse fare fuori. Allora lui mi stringerà, mi stringerà, mi stringerà...
Vorrei grattare via il tuo nome impugnando un raschiatoio antico, di selce, di quelli appuntiti con cui scuoiare la selvaggina al termine di ogni caccia, per poi nutrirsi in pozze di sangue crudo. Un raschiatoio con cui scrivere sui muri umidi delle caverne, rappresentando scenette di virilità preistorica. Raschierò via il tuo nome, riempirò di graffi il mio cuore già imbruttito, pieno di bernoccoli, laddove tu eri solito picchiarlo. Graffierò il mio cuore già graffiato, lo riempirò di graffi fino a quando saranno talmente fitti da non notarli più, che la superficie sarà un unico grande graffio, pelle squarciata, rossa come una pozza di sangue crudo. Scaverò il tuo nome, ci farò sopra un picnic o forse una festa, una festa grossa, con l'acqua, il vino, l'Ouzo, il whisky, così affollata che mi ci perderò dentro e ci morirò soffocando, pestata dagli uomini ubriachi e dalle loro donne danzanti. Raschierò, gratterò, graffierò, forte, sempre più forte, che il mio cuore il male non lo sente più. «Stringimi, stringimi meraviglioso amore mio». Il tuo nome se ne andrà, come se ne andranno gli incantesimi, come svaniranno i nostri sogni di pongo e di sabbia, le aspettative che avevo riposto in noi, che avevo risposto in te, forgiatore d'illusioni, sordo, senza più la voglia di ascoltarmi. Il tuo nome se ne andrà e io continuerò a vivere morendo. Ora piega in quattro questo biglietto e stringimi, stringimi, stringimi...

6.7.13

Cilindro

Ciao,

Ti scrivo perché è l'unico modo che oggi possiedo per abbracciarti. Non ti nego che ho incontrato non poche difficoltà nell'incominciare questa lettera, poiché indecisa nell’utilizzare un incipit a sorpresa, più enfasi, più slancio; una bella frase effettata, di quelle che mi escono parecchio bene, coriandolosa il giusto per darti il benvenuto alla mia festa, per farti sentire fin da subito l'invitato speciale, il protagonista nella giostra delle mie parole. Ma poi ho preferito scegliere un inciso pacato, limpido, se non scontato agli occhi di molti, ma che racchiude il senso originario e finale del nostro rapporto: ti scrivo perché è l'unico modo che oggi possiedo per abbracciarti.

Prima non ci avevo mai pensato e vorrei che ora ci pensassi anche tu, qui con me, per darmi conferma di ciò che sto per dire: noi siamo definibili e definiti all'interno di un abbraccio. Noi siamo abbraccio. Nulla di più, nulla di meno. Quando ci stringiamo, intorno a noi si innalzano le pareti trasparenti di un cilindro. L'impronta di un cerchio rimane impressa per qualche minuto nell'erba del parco, come se quelle stesse pareti fossero state piantate al suolo o provenissero dal cuore della Terra, là dove il battito è la somma dei battiti di uomini e animali. Pareti trasparenti, ma di una trasparenza che non appartiene né al vetro, né al ghiaccio, piuttosto a uno spray, a una lacca. Io lo so cos'è, è il tuo profumo: si miscela al mio e si scompone in particelle collose tra loro, insolubili e resistenti. Tanto resistenti da costruire un cilindro trasparente che parte da sotto e raggiunge la cupola del cielo, nel caso esistesse. Perché noi dal parco non possiamo scorgerla, noi dal parco non scorgiamo nessuna fine. È così alto il nostro cilindro, è così forte il nostro abbraccio. Però, se provi ad accarezzare le sue pareti con la punta delle dita, una scia di particelle si arcobalena in un lampo, che come un lampo sparisce, ricomponendosi, silenziosa. Eppure noi siamo lì, stretti, ben visibili in un cilindro invisibile, coi profumi che fanno l'amore, lasciando le loro tracce sull'erba. Solo chi riuscirà a calcolare la circonferenza del nostro abbraccio, quindi la radice quadrata dei nostri gomiti, la potenza dei nostri sguardi e la curva di funzione formatasi all'incrocio delle nostre teste, allora riuscirà realmente a definirci. E avrà voglia a sua volta di abbracciarci.

Tu mi hai sempre abbracciato tanto, senza chiedermelo e senza che io te lo chiedessi. Sei la persona che ho abbracciato di più in assoluto, non occorre fare la conta. Ci siamo sempre abbracciati tanto e in quel sempre non riesco a ritrovarci un inizio. Mi fa sorridere che io non ricorda la primissima volta che ti ho parlato. È una cosa brutta? Perché io davvero non lo ricordo, non ricordo quel momento, ma solamente i successivi e anche un po' vaghi. Non è una cosa brutta, credo. Forse significa che ci conosciamo da sempre o da mai e che tra il sempre e il mai non ci sono altri avverbi o se ci sono, sono derivati da un tempo scandito dagli abbracci. Allora valgono gli abbracciatamente, gli abbracianto, gli abbracciove, gli abbracciossia, gli abbracciachè. Gli abbracci tuoi, puntuali. Ti prometto che sarò più puntuale anch'io nello spedirti le mie lettere. Che ho capito quanto tu ne abbia bisogno, cioè, ne abbiamo bisogno entrambi.

Un abbraccio,
A presto.