12.6.12

Mani di Fata


La chiamavano Mani di Fata, ma nessuno era mai riuscito a scoprire quale fosse il suo segreto. Viveva in un vecchio tronco di quercia, rattoppato di foglie e di piume, in quel bosco di laggiù, dove le cime degli alberi solleticano il cielo e gli animali parlano ai fiori e i fiori agli animali. Sopra il tetto, uno strato d’erba sottile, alla finestra, deliziose lanterne di lucciola: si accendevano al calare del buio, fedeli compagne di gufi e civette, facendo a gara per chi brillasse di più, con Venere basso all’orizzonte, che di una stella era soltanto un’illusione.

Ogni giorno, a metà pomeriggio, Mani di Fata dava inizio al suo rito prodigioso, un rito dolce e buono: dalle fessure del suo tronco si ergeva un vortice profumato di spezie, cioccolato, zenzero e cannella; l’aroma di caffè a mischiarsi con l’odore del muschio bagnato, l’aria a colorarsi di mille sapori. Mandarini, noci, nocciole e biscotti, sembravano fondersi in un’unica nuvola, friabile, come appena sfornata, forse turchese o forse rosa: piovevano gocciole di Primavera.

Mani di Fata cucinava, cucinava prelibatezze per tutto il bosco e le sue creature. Costruiva sgabelli con radici di liquirizia, imbandiva tavoli di fiocchi, pigne e pinoli. Su un ramo, esponeva un’ampia scelta tra infusi di coccole, camomille del buonumore e tisane scalda-cuore. C’erano davvero bustine di tè per tutti i gusti. I sorbetti di bacche erano poi serviti nei gusci vuoti di chiocciole e lumache, mentre da una fontana di ciottoli zampillava il liquore della felicità. Ne si riempivano i bicchieri, stando attenti, però, a non ubriacarsi di troppi sorrisi. Ogni giorno, a metà pomeriggio, il tronco di quercia di Mani di Fata si trasformava così in una vera e propria mensa, una mensa per animaletti, gnomi e farfalle, fatta di sogni di zucchero e desideri tostati. Avremmo potuto cibarci d'etere caramellato per alimentare all'infinito le nostre fantasie.

Ma Mani di Fata come ci riusciva? Come faceva ogni giorno, a metà pomeriggio, a rimettere in scena quella magica mensa? Le bastavano davvero solo qualche ingrediente di qualche ricetta speciale? No, Mani di Fata non seguiva ricettari, non utilizzava ingredienti, né coltelli o frullatori, perché Mani di Fata non era una donna, tantomeno una fata. Non era neppure una dea, una strega o un’indovina. Mani di Fata era un bel paio di guanti, lisci, caldi e delicati. Guanti con un respiro, danzanti, che ballavano la musica delle nostre emozioni. Guanti con un segreto, invisibili, che contenevano tutto l'occorrente per fare di quel bosco il migliore dei mondi possibili.

11.6.12

Ti ricordi quante bugie ti ho detto?


Fin dove riesco a ricordare, mio padre mi diceva sempre che un giorno mi avrebbe scritto una lettera molto speciale. Però non mi ha mai detto di cosa avrebbe parlato. Io cercavo continuamente di indovinare quale intimità avremmo un giorno condiviso, quale mistero, quale segreto di famiglia mi sarebbe stato rivelato. Lo so quello che avrei voluto leggere in quella lettera. Speravo che mi dicesse dove aveva nascosto il suo affetto. Ma poi egli morì e la lettera non arrivò mai. E io non trovai mai il luogo dove aveva nascosto il suo amore. (D. M.)

Ti ricordi quante volte ti ho chiesto la storia del tuo dito senza falangetta? E quante volte tu me l’hai raccontata? Ti ricordi quando me ne stavo con te sul divano, la sera, prima di cena, rannicchiato dietro la tua schiena? Ci appoggiavo il mio orecchio e il mio orecchio diventava subito uno stetoscopio: ascoltavo il tuo cuore pompare più veloce del mio - che dal polso non lo sentivo mai - ma forse era più veloce perché tu eri più grande. Così grande che il mio piede stava tre volte nelle tue pantofole. Ti ricordi che mi sgridavi se non mi soffiavo il naso? Se ci infilavo le dita per trovare i mostri con cui giocare, se smangiucchiavo i fazzoletti sporchi? Ti ricordi il filmino che nevica e sono in braccio alla mamma? Il filmino che grandina forte e piango e mio fratello mi insulta perché piango e tu dici che ho ragione perché le piantagioni se ne stanno andando? Il filmino dove ho la varicella e alzo la maglietta per farmi contare ogni macchia? Il filmino dove ripeto a pappagallo l’audiocassetta di Pollicino per imitare mio fratello? Il filmino dove avrò otto mesi e sto a gattoni sul tappeto della sala e non voglio darti la pallina di gomma che tengo in mano? Quanto ci abbiamo riso? Ero già un caparbio. Ti ricordi tutte le volte che ho tirato fuori i volumi vecchi dell’enciclopedia, scarabocchiandoci dentro o strappando pagine qua e là? Mi piaceva il volume con le filastrocche, con le istruzioni per gli origami e i passatempi per noi bambini. Perché l’abbiamo buttato via? Eppure in soffitta teniamo inscatolati tanti oggetti che sappiamo non ci serviranno più, tanto valeva tenere pure l’enciclopedia d’antiquariato. O la lampada bianca con le frange o la radio a valvole di quando la mamma era giovane, sarebbero stati dei bellissimi soprammobili, ce li avrebbero invidiati. Ma non possiamo tenere sempre tutto, poi ci cade il tetto in testa, dicevi tu. Ti ricordi il mare a Gabicce? La mia collezione di formine? Ne avevamo un sacco enorme. Facevo i castelli e in acqua ci andavo poco perché avevo paura e se ci andavo era coi braccioli e assieme a te. Che ti guardavo quando facevi le tue nuotate fino agli scogli, solamente a dorso. Ti ricordi Venezia? Tutta la giornata in spalla a te? Ti ricordi la Sardegna? Le passeggiate in montagna? La Puglia? La Calabria? Ti ricordi quanti coni gelato al cioccolato sulle mie magliette? Quanto burro e zucchero nei panini al latte della colazione? Quanti libri nel mio zaino di scuola? Pesava più di me. Ti rovini la schiena, dicevi tu. Ti ricordi i miei problemi di geometria? Ti ricordi quante case ho disegnato, quante case ho disegnato scopiazzando dalle tue riviste, quante case ho disegnato per noi? Ti ricordi quante volte mi hai accompagnato a ballare di domenica pomeriggio, poi il sabato sera, poi sia il sabato sera che la domenica pomeriggio? Ti ricordi quante bugie ti ho detto? Ti ricordi i colloqui per i genitori a scuola? Ti ricordi quante bugie ti ho detto? Ti ricordi che facevamo a gara su chi finiva prima i cappellacci della nonna? Alla zucca, i miei preferiti, venivano appena dopo la pizza fatta in casa e gli spiedini di gamberi che cucinavi il venerdì. Ti ricordi che stavo troppo vicino al camino? Ti s’infiamma la faccia, dicevi tu. Ti ricordi quanti computer si sono rotti? Quante bugie mi hai detto, dicevi tu. Ti ricordi che volevo diventare, in ordine, astronauta, vigile del fuoco, architetto, professore di matematica, guardia forestale? Anche a te sarebbe piaciuto fare la guardia forestale, mi ricordo. Ti ricordi quando avevamo spostato i letti con la testa a nord? Così avremmo dormito meglio, sotto l’energia positiva del feng shui. Ho creduto per anni che fosse un Dio, questo feng shui. Ti ricordi che andavamo in campagna da Giorgio a raccogliere le pesche? Ti ricordi quanto erano buone? Tornavamo completamente zozzi, ma tu rimanevi il mio modello di rettitudine, riuscivi a conservare il tuo fair play se la mamma si arrabbiava. Ti ricordi quando ho preso la patente e che dopo un anno avevo già distrutto l'auto? L'importante è che io fossi rimasto intero, integro e intatto? No? Ti ricordi quante bugie ti ho detto? Non scuotere la testa. Ti ricordi quando ti ho regalato il cellulare? Ad un tratto mi sembrava che non avessi mai compiuto sessant'anni, ma probabilmente tre volte venti. Ti ricordi che praticavi giardinaggio, che facevi crescere quei bei fiori gialli, che staccavi le melagrane? Ti ricordi che sapevi riconoscere gli alberi dalle loro foglie? Gli uccelli dal loro canto? Ti ricordi il nostro gatto rosso? Ti ricordi il tuo montone che ora mi metto io? Ti ricordi il periodo dell’acquario coi pesci? E i gamberoni pescati nel canale? L’oroscopo cinese? I libri dei sogni? Te li ricordi i tuoi sogni papà?

Lo sorpresi alle 5 di mattina, a guardare un programma su Rete 4, di quelli che non ha mai guardato in vita sua e gli chiesi “perché guardi questo programma che non ti piace?” Perché non approfitti per questo momento di pace per finire il modellino - dato che ti manca veramente poco - o per stampare altre foto della mamma, o per lavorare un po’ ai filmini - metterli tutti su dvd - per scrivere, o per fare una delle tante cose che ti piace fare? “Tommaso, io guardo questi programmi di merda per illudermi che la vita sia davvero così misera; che essa non sia amore e bellezza, ingegno, sfide, conquiste, natura e mare e vento e barche a vela, ma una squallida faccenda di rancori, pettegolezzi, paura e puzza di chiuso, come la riducono qua. Così, capisci, mi viene più naturale lasciarla”.

Ciao papà, scusa per le bugie.
Tommaso.