18.8.12

Simbiosi

Mi accorgo quando non ci sei, perché nelle mie scarpe non c’è nemmeno un sassolino. Sei sempre stato così piacevolmente fastidioso.

Ho creduto spesso che i rapporti simbiotici non portassero da nessuna parte, malati, ossessivi, asfissianti. Però, dopo l’adolescenza, non ne avevo mai avuto veramente uno; del resto pensavo di avere ben capito cosa significasse mantenere un’amicizia: un gioco di dato e ricevuto, dove lasciare qualche spazio libero l’uno all’altro, per riapparire nel momento del bisogno.

Poi tu. Lo stupratore del mio cervello, lo sturatore dei miei conduttori di fantasia: si erano otturati da soli perché rimasti abbandonati da tempo, tali e quali ai buchi delle orecchie, che si richiudono quando non metti gli orecchini per un po'. Ancora oggi non so come tu ci sia riuscito. Forse con i ruzzoloni di parole e le tante chiacchiere prima di dormire. Forse eravamo due estranei legati insieme dall’intimità inventata dal viaggio. Perché sì, abbiamo viaggiato parecchio insieme. Per chi non lo sapesse, i conduttori della fantasia, una volta aperti, funzionano da scivoli, da girandole, da aquiloni, altalene, onde, nuvole, biciclette, macchine del tempo. Abbiamo viaggiato sospesi per un anno intero, senza fermarci, e nessuno può sapere cosa ci sia fantasiosamente capitato in quel volo al centro della terra. Con te ero al riparo dal desiderio di essere altrove. Con te manovravo le lancette dell’orologio a piacimento, senza badare a conseguenze e definizioni. Con te scrivevo i romanzi.

Abbiamo viaggiato senza fermarci fino al momento dei saluti. I rapporti simbiotici sono così, non durano, il gioco del dare e ricevere non vale, gli spazi liberi non esistono, anzi, si accavallano. Ci siamo scambiati talmente tante cose che non sapevamo più quali fossero le mie e le tue. Nessuno ha pianto. Eppure, nonostante i saluti, oggi è come se mi mancasse l’elastico per i capelli, il fazzoletto nella borsa, la penna nel taschino, l’orlo nei pantaloni; è come essermi dimenticata a casa lo spazzolino o il rossetto più rosso. Tu che mi hai insegnato che senza lo spazzolino, non puoi andare da nessuna parte, perché dove vuoi andare con un sorriso spento e una bocca scarna? Non eri un accessorio, eri ciò che mi faceva sentire sicura, fiera, spavalda.

Nulla è un regalo, tutto è in prestito. E tu lo sai, non hai il senso dell’attaccamento eterno alle cose. E alle persone. Vi attaccate a volte, ma quando sono (persone amate e luoghi) proprio lontane, irraggiungibili, escluse dal rischio di esserci davvero. 

4.8.12

Fili


Ognuno di noi ha dei fili. Vanno dalla testa ai piedi, didentro, come tante corde sottili che conteniamo per essere capaci di vibrare. Per sentirci un po’ arpe, un po’ violini, chitarre o pianoforti, con spartiti che suonano le stonature dei nostri pensieri. Ma più fili conteniamo, più armonie sarà facile creare.

Sono gli stessi fili che ci rendono marionette delle nostre emozioni, che ci manovrano da lassù, facendoci inscenare un teatrino anche quando non lo vorremmo mai. È strano quanto ci possano governare e, allo stesso tempo, quanto noi dobbiamo a loro. Eppure, più cercheremo di divincolarci, di sfuggire alle briglie, di ritornarcene dritti, in piedi e inflessibili, più le emozioni non ci lasceranno, per poi prendersi gioco di noi: maneggeranno i fili fino a farli aggrovigliare, tant'è che, a spettacolo finito, ne troveremo qualcuno già spezzato e ce lo porteremo rotto, didentro, almeno per un po’.

È la metafora per dirti che, quando ti sono vicino, mi succede l’opposto. Mi accarezza la sensazione di benessere vero: i miei fili si rilassano insieme, si pettinano all’unisono, senza che nessuno se ne stia fuori posto o si svegli scordato. I miei fili, accanto ai tuoi - vibratori di meraviglie, inarrestabili, punzecchianti, perché tranquillo non ci sai stare - raggiungono la distensione totale. Sembra un paradosso, ma è così. I miei fili, accanto ai tuoi, non emettono suono che non sia una ninna nanna: ti aggiusto quelli spezzati, piano, che non te ne accorgi, mentre appoggi la testa sul cuscino, la porzione di assoluto a portata di faccia che ti regalo persino tutte le volte che non vuoi.

Penso di essere appesa a un tuo filo.